Il gambero di fiume (III ed.)

Estate 1749

Giovanbattista si sedette su un sasso di granito dai profili arrotondati. Era stanco, ma felice per come stavano procedendo le cose. Si passò la mano sinistra sopra le rughe della fronte, incavata e ruvida come la fatica.

Un soffio leggero di vento si divincolò dai faggi, coprì per un attimo l’afa e portò con sé un buon odore di bosco.

Si riempì i polmoni. Con il pollice e l’indice si arricciò uno dei baffi e i suoi occhi verdi osservarono il cantiere.

Il paziente lavoro di scavo era terminato e la stalla stava prendendo forma, semiaffondata nel fianco della montagna. Le pietre squadrate venivano trasportate senza pausa da alcuni degli uomini.

 

Aveva dovuto spingersi in alto.

I terreni migliori, quelli appena sopra l’abitato, appartenevano ormai da secoli alle famiglie più antiche dei paesi della bassa valle. Solo in caso d'estremo bisogno se ne sarebbero sbarazzate.

Quando si era presentata quell’unica occasione aveva deciso alla svelta: il prato pieno di enormi massi sarebbe diventato suo. Palina era il nome che la gente aveva dato al luogo, una pietraia ricordo perenne della glaciazione di qualche millennio prima. Con gli anni la natura era riuscita a stenderci un leggero strato di terra. Era bastato, e ora l’erba cresceva rigogliosa, circondando i massi più grandi che ancora, altezzosi, si ostinavano ad affiorare come enormi tuberi. I migliori di essi avevano, anzi, offerto un’ottima materia prima ai tagliapietra e costituivano ora l’ossatura del nuovo edificio.

Avrebbe dominato dall’alto tutte le proprietà degli altri contadini. Così pensava, sorridendo, per non ricordare la distanza dal paese.

La sua famiglia era arrivata a Darè quasi cent’anni prima, dal veronese.

Diceva il nonno per ragioni politiche.

Giovanbattista non aveva tempo di pensare alle ragioni politiche, la vita non gli concedeva di pensare alle ragioni politiche e allora ogni tanto malediceva il nonno per essersi scelto un posto tanto avaro.  

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libro gambero 3