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25 giu 2019
Recensioni

 

MDC - Marco da Caderzone di Enrico Gasperi (Ed. Curcu & Genovese Narrativa) è un romanzo dalla trama avvincente, che ricorda da vicino quella di “Possessione” di Antonia Byatt.

La laureanda Nerella e il suo professore Franco Vittori svolgono una ricerca sulla vita di Marco, brigante medievale dall’oscura fama, di cui scoprono con vari colpi di scena l’amore segreto verso Bianca, misteriosa donna sconosciuta alla storia. Il professore assume atteggiamenti che non sarebbero paradigmatici del “tipo” cui appartiene (il che è bene): consente alla studentessa vistose eccezioni al rigore accademico, facendosi travolgere dalla sua gioventù. Commovente la passione di entrambi per i reperti. I capitoli che narrano le loro vicende si alternano (anche in questo si vede un parallelismo con Byatt) a capitoli di flash-back (medievali) narrati a volte in prima persona, a volte in terza con una buona alternanza. Il ritmo che ne risulta è incalzante, la lettura fluida, le notizie storiche veritiere e accurate. I personaggi di cui conosciamo bene “l’io” sono solo quattro, i componenti delle due coppie (il professore, la studentessa, e i due amanti medievali), mentre tutti gli altri personaggi appaiono piatti e decisamente secondari, ma a giudicare dal seguente passo l’effetto è intenzionale, come lo sfocato sullo sfondo delle fotografie:

“Ci sono anche Pietro Navaro, Giovanni, Bagosso da Bagolino, Pasotto da Lenzima, ma sono solo nominati, tratteggiati sullo sfondo…”

La storia d’amore con Bianca è una luce che illumina in retrospettiva il volto di Marco, facendogli compiere un’evoluzione nella visione degli studiosi che, a distanza di secoli, guardano i due con occhi via via più meravigliati, e al tempo stesso in noi lettori che stiamo a guardare… chi guarda. Un effetto “loop” molto bello. Bello e sorprendente anche il finale, in cui il romanzo si trasforma in testo teatrale e in tesi di laurea.

Quanto allo stile, i dialoghi di Marco e Bianca (personaggi medioevali) sono in italiano moderno, e non in lingua volgare che, oltre  forse al latino, era l’unica che avrebbero potuto parlare. Un esempio:

“Si, certo. Millanta. È tanto tantissimissimissimo, giusto?”. Una scelta di stile che talvolta sembra conferire troppo peso alla voce dell’autore, troppo poco a quella dei personaggi.

In definitiva, un bel romanzo leggero, di quella leggerezza calviniana, dunque non superficiale (del resto è ricco di dettagli di cultura), ma che ha una sua propria grazia e un suo ritmo, un suo fascino per chi ama i misteri e l’archeologia che lo rendono leggibile in un lasso di tempo breve e con un certo godimento.”

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